Nella regione più colpita
dal Coronavirus siamo abbandonati, quella di Fontana è una non gestione.
L'emergenza è affrontata senza un protocollo, senza un senso. E da oggi senza
nemmeno il sole
Stamattina mi sono svegliata
nell’ormai solito silenzio angosciante di questa città impaurita, Milano, e ho
visto la pioggia. Dopo giorni di un sole che consolava un po’ (ieri avevo
perfino pulito il terrazzo), è arrivato anche questo tetto grigio sulla testa.
E quindi oggi mi prendo il tempo di buttare giù le tante cose che ho visto, ho
ascoltato, ho imparato, ho toccato con mano in questo mese di lutti e sgomento.
Il tema di cui devo parlare è “perché in Lombardia stiamo morendo così e così
tanto”. Dividerò la questione in due parti. Quella che definirei
“dell’ineluttabile” e quella che invece sarebbe “del reversibile”, se solo si
provasse a cambiare le cose.
L’ineluttabile
1) La Lombardia è stato il
primo focolaio silente del paese e d’Europa. Questo primato è
stata la nostra condanna. A gennaio e febbraio la Cina ci sembrava
lontana. Quegli 8000 km che ci separano da Wuhan parevano una sufficiente
distanza di sicurezza e l’idea anche il virus fosse già qui, pareva
improbabile. Fior di virologi, in quel periodo, hanno affermato “In Italia il
rischio è zero”. Invece il virus se ne stava già andando in giro, in Lombardia.
Era nelle nostre città, nei nostri paesi, sui nostri treni, nelle nostre case,
nei nostri ospedali in Lombardia. Probabilmente già da gennaio.
Il paziente 1 non
era il contagiato 1. Era solo il primo paziente a cui è stato diagnosticato il
Coronvirus, ovviamente. Lui è stato ricoverato la sera del 20 febbraio,
ma stava male da giorni. In una clinica del piacentino c’era un vecchietto
che stava male dal 10 e, presumibilmente, qualcuno è stato male anche prima.
(oppure era asintomatico). È probabile che il paziente 0 sia stato qualcuno che
è partito a Capodanno per la Cina, dalle zone di Codogno. O che sia finito su
un aereo con qualcuno che aveva contratto il virus in Cina. Non sono un
epidemiologo ma se dovessi partire da qualche parte, partirei da qui. Dai
viaggi intorno a Capodanno degli abitanti di quella zona. Fatto sta che la
totale inconsapevolezza di quello che stava accadendo ha reso cittadini e
medici lombardi le vittime perfette. Quando abbiamo capito, il virus era già
ovunque. Chi è arrivato dopo, ha avuto un po’ di vantaggio. Noi no. Noi eravamo
già fregati.
2) Sul fatto che il
contagiato zero fosse transitato nelle zone del basso lodigiano non ci sono
dubbi. Forse Codogno, forse Casalpusterlengo,
forse Somaglia, chissà. Geograficamente parlando, non proprio una gran fortuna.
Codogno è nel cuore della Lombardia e a un passo dall’Emilia, posta esattamente
nel centro della cintura Piacenza/Cremona/Brescia/Bergamo Milano/Pavia. Questo
vuol dire treni, pendolari, merci che si spostano tra grandi città tutte molto
vicine, tutte molto produttive, piene di scuole, università, turismo, aziende,
aeroporti nazionale e internazionali. La famosa mobilità. Un focolaio situato
in altre zone del paese forse sarebbe stato meno letale, meno veloce, meno
spietato, meno incontenibile.
3) Le partite di
calcio giocate in Lombardia nel momento della massima espansione silente del
contagio sono senz’altro state un altro fattore disastroso, così come le
settimane bianche e le tante festicciole di Carnevale festeggiate anche dopo
l’emergenza. Atalanta- Valencia, ovvero 50 000 bergamaschi a San Siro il 19
febbraio, ha fatto la sua parte. (tra l’altro Valencia è uno dei focolai
spagnoli) Va comunque detto che anche dopo il primo marzo, quando si
cominciavano a contare i morti, la vita sociale di molti lombardi non ha avuto
alcun freno. C’è chi è partito per le vacanze, chi per la montagna, chi ha
fatto l’aperitivo in mezzo a centinaia di persone. Le foto della movida
bresciana, milanese, cremonese in quei giorni restano lì, a imperitura memoria
della scelleratezza. Così come i video scemi sulle città che non dovevano
fermarsi.
4) La Lombardia è la regione
più popolosa e anche quella col maggior numero di anziani di Italia.
Ci sono 2 milioni e 270 mila over 65. Il Coronavirus uccide soprattutto gli
anziani.
Il reversibile. Quello che si
poteva fare o che si potrebbe fare e che non si è fatto o non si fa.
1) Non c’era un vero piano
pandemico e se c’era non si è visto. Il cittadino può non essere preparato
all’idea che la Cina arrivi qui in un mese, un governo deve esser informato e
non può farsi cogliere impreparato. Illuminanti le parole dell’anestesista che
diagnosticò il Coronavirus al paziente 1 di Codogno, così poco reattivo ad ogni
cura: “Ho pensato all’impossibile”, ha detto. In quella frase c’è tutta
l’impreparazione di un paese. (Non la sua eh, che è stata brava) Proprio di un
paese. Gli ospedali, gli operatori sanitari evidentemente non erano stati
preparati neppure all’evenienza.
Non c’era e non c’è
mai stato un protocollo unico di intervento, non si è deciso prima che i
pronto soccorso non potevano accogliere persone con sintomi simil influenzali o
polmoniti, non si è pensato di rifornire gli ospedali di dispositivi dpi. Non
si è pensato a preparare i medici di base. Nulla. Il disastro avvenuto negli
ospedali ne è il risultato. I luoghi in cui dovevamo essere curati sono
diventati troppo spesso i luoghi del contagio per pazienti e personale
sanitario. E dunque per la Lombardia tutta. Gli ospedali lombardi (da Alzano in
poi) sono tra i più importanti focolai della regione. E lì sono stati
contagiati e sono morti tanti anziani che erano ricoverati per un femore rotto
o che erano stati lì di passaggio, magari per un prelievo.
2) Non si sono chiuse le
zone focolaio di Bergamo e la Val Seriana, così come si era fatto con Codogno.
Il nord che produce ha accettato un cinico compromesso con la salute dei
cittadini. E lo sta pagando.
3) E qui arriviamo a un tema
spinoso. La regione Lombardia ha una sanità che in buona parte è
affidata al privato, si sa. Non intendo entrare nella generica questione
vantaggi/svantaggi, ma è indubbio che in una situazione di emergenza gli
svantaggi siano stati superiori ai vantaggi. L’emergenza Coronavirus non è
redditizia per i centri privati. Convertire una clinica in cui si fanno costose
operazioni o si fanno pagare camere per la lunga degenza o semplice “residenza
temporanea” anche seimila euro al mese in clinica Covid, non conviene. Di qui
un problema fondamentale. Quando i focolai sono scoppiati nelle cliniche
private che non erano ancora convertite in Covid, quante cliniche private hanno
comunicato tempestivamente la situazione alla Asl? Quante hanno corso il
rischio di venire chiuse all’istante e di perdere fatturato? Se in una clinica
privata il personale si ammala è un problema. Se c’è un focolaio tra i pazienti
è un problema. E con una gestione non pubblica ma interna della crisi, si
possono insabbiare molte cose. Soprattutto se a un certo punto in tutti gli
ospedali e le cliniche si chiudono le visite ai parenti.
Puoi nascondere a figli e
mogli o mariti che i vecchietti si ammalano e se muoiono lo puoi comunicare per
telefono, parlando con vaghezza di un “aggravamento delle condizioni” o di
“sopraggiunte infezioni” o di “improvvise crisi respiratorie”. I focolai
nascosti nelle strutture private sono stati un veicolo del contagio micidiale.
Così come nelle case di riposo, per cui vale lo stesso identico discorso.
(nella casa di riposo di Mediglia sono morti 50 anziani) Molti parenti di
questi poveri anziani sono andati in giro per la Lombardia magari con una
positività latente o ammalandosi, facendo ammalare. Poi non hanno saputo più
nulla dei loro cari a cui spesso non è stato fatto il tampone. Ed è per questo,
anche, che i morti in Lombardia sono di sicuro molti di più di quelli
dichiarati.
4) Infine,
e qui sta la questione più importante e drammatica, in Lombardia regna il caos. La
gestione Fontana è una non gestione. Dovremmo urlarlo tutti i giorni
in tutte le lingue. Dovremmo affacciarci al balcone non per cantare ma per
urlare a Gallera e a Fontana di fare qualcosa di serio per arginare la
malattia. Si aprono nuovi ospedali che si riempiranno in 5 minuti, ma non si fa
quello che dall’epidemiologo al barista dell’autogrill avrebbe già deciso di
fare in un paese serio: monitorare, mappare, isolare. In Lombardia, se non lo
sapete ve lo dico io, siamo abbandonati a noi stessi. Non sapete e
non sappiamo né il numero dei morti né il numero dei contagiati. Quei numeri lì
snocciolati sulla Lombardia in conferenza stampa da Borrelli sono numeri di
un’approssimazione sconcertante.
La gente sta morendo in casa
senza mai aver avuto diagnosi, sta morendo negli ospizi e in certe cliniche
private infilata in sacchi ancora in pigiama come da prassi senza che neppure
sia stato fatto un tampone. Il numero dei contagiati in Lombardia non può
essere calcolato semplicemente perché non si fanno tamponi neppure ai
sintomatici gravi. Sintomatici gravi che non vengono dunque mappati,
isolati, che non hanno neppure l’obbligo di stare in casa (ci si affida al
buonsenso). Se hai tosse, febbre, congiuntivite, problemi respiratori ma non
stai morendo, ti dicono di stare in casa e chiamare il medico di base, che ti
dice di prendere la tachipirina. Nei casi più seri devi procurarti l’ossigeno.
Fine. Questo vuol dire che contagerai il resto della famiglia. E magari un
membro della famiglia che sembra stare bene esce, va a lavorare, va al
supermercato. Ho amici, parenti, conoscenti che hanno chiamato il numero
preposto per dire ho la febbre. Sto male. Sto molto male. È un terno al lotto.
A qualcuno viene detto sarà
influenza. Ad altri chiami il medico. Ad altri non esca di casa e richiami se
peggiora. Nessuno viene monitorato. Sono persone che con ogni probabilità hanno
il Coronavirus e che non entreranno mai nella lista dei contagiati, se guariscono.
Nel frattempo, però, abbandonate a loro stesse, possono fare danni enormi.
Nessuno saprà se erano o sono entrate in contatto con amici infermieri o
autisti del bus o impiegati di banca.
A Wuhan 9000 persone
facevano mappature dei contatti. I positivi venivano allontanati dai negativi.
Qui ci si affida al fai da te. E considerato, pure, che a Milano c’è il più
alto numero di famiglie mononucleari del paese, immagino che con 37 di febbre
sia uscita un sacco di gente ed esca ancora un sacco di gente per comprarsi due
uova al supermercato. Perché moriamo in migliaia qui in Lombardia? Per questo,
anche. Perché non c’è un metodo. O meglio. C’è il metodo Fontana: “servono più
ospedali e respiratori!”. No, caro Fontana. Serve soprattutto NON far arrivare la
gente negli ospedali o sotto il casco per la ventilazione. Serve un piano. Si
decida a partorirne uno decente e in fretta. Stiamo morendo.
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